Il Walled Off Hotel è da inserire nella lista delle cose da fare. Se le mosse geniali e non convenzionali di Banksy vi hanno stupito, se siete curiosi di vedere con i vostri occhi le sue opere d’arte in un ambiente unico nel suo genere, l’hotel “con la peggior vista al mondo” fa al caso vostro: trascorrere lì almeno 24 ore è davvero un’esperienza unica e insolita.
Da grandi appassionati di streetart e da sempre interessati a Banksy, appena abbiamo avuto l’occasione, dopo circa due anni dall’apertura, abbiamo prenotato per una notte la suite presidenziale. E l’occasione per noi si è presentata a febbraio 2019 con l’inaugurazione della mostra a Tel Aviv di un caro amico artista, Adam Yakutiel in arte Know Hope, che ci ha dato un passaggio fino a Betlemme.
Partiamo in tarda mattinata, il tragitto è molto tranquillo con un panorama calmo e rilassante, quasi inaspettato pensando al trascorso di queste terre e a quello che ancora vivono. Siamo impazienti e curiosi di mettere un piede al Walled Off Hotel. Avevamo letto svariati articoli, visto foto e documentari, come “The Alternativity” e “The man who stole Banksy” – consigliatissimi se non li avete ancora visti – sapevamo che cosa ci aspettava ma non potevamo immaginare le sensazioni ed emozioni che sarebbero tornate a casa con noi. Dopo un’ora – e senza particolari controlli – arriviamo a destinazione: da una parte l’ingresso dell’hotel e dall’altra, a pochi passi, un muro alto più di otto metri.
Una barriera altissima, di fronte alla quale ti senti piccolo, impotente, chiuso. Come previsto, all’ingresso ci accolgono un portiere di un’eleganza impeccabile con tanto di cilindro e la “scimmia – fattorino” alle prese con i bagagli. Finalmente stiamo per varcare la soglia del famoso hotel dell’artista dall’identità sconosciuta (o nota a pochissimi): che emozione!
Appena entrati veniamo catapultati in un’atmosfera britannica dei primi anni del novecento, con una luce soffusa, arredamento di altri tempi, divani in pelle bordeaux e marrone scuro, alti candelabri e tovaglie ricamate. Adam saluta il manager dell’albergo, Wisam Salsaa, per noi viso noto nei documentari, che ci dà il benvenuto e ci offre del the caldo in antiche tazzine di porcellana. Bisogna concedersi un po’ di tempo per abituarsi a questo ambiente famoso ma allo stesso tempo intenso e sconosciuto. Ci guardiamo attorno e riconosciamo tutte le opere, dal quadro di Gesù con un mirino sulla fronte, al gatto attaccato alla gabbia di una colomba (della pace), al pianoforte che suona senza musicista, agli angeli appesi, al finto camino, al busto avvolto dai fumogeni. L’ultima opera è stata realizzata per San Valentino: una parte di muro appesa alla parete della hall con un buco a forma di cuore e accanto una bambina con velo che gioca. Più osserviamo e ci soffermiamo su una zona, più scopriamo nuovi dettagli. Siamo piacevolmente confusi e anche un po’ smarriti, non sappiamo più da che parte guardare!
Ci registriamo alla reception e ci chiedo un deposito di 1.000 dollari per eventuali danni alle opere d’arte che si trovano nella suite. Importante: portate con voi la carta di credito con disponibilità! In effetti non c’è da stupirsi della richiesta, basta pensare che la tela di Banksy, “Devolved Parliament”, è stata battuta all’asta da Sotheby’s a 12,1 milioni di dollari. Ci danno anche un elenco con le foto delle opere per controllare il loro stato al momento del nostro arrivo.
È ora di salire nella suite e di attraversare il passaggio segreto per raggiungere le camere. Anche noi possiamo finalmente “aprire” la libreria e salire ai piani superiori. La suite è un vero e proprio set cinematografico. Partiamo subito con il check delle opere: il divano zebrato dà le spalle ai famosi giaguari dipinti sul muro e il letto è nascosto da pesanti tende di velluto rosso che si aprono e si chiudono come un sipario. Sul lato opposto della stanza c’è una grande vasca da bagno circolare, rivestita da finte rocce, con piante appese al soffitto e un vero serbatoio con fori di proiettile dai quali esce l’acqua. C’è anche l’angolo con il tiki bar (con zuccheriera a forma di ananas), due bagni molto grandi, un’altra camera da letto e un angolo-studio con libreria e scrivania tutto in legno scuro.
Non manca la vista. Fa un certo effetto svegliarsi in una stanza che potrebbe essere un parco giochi dell’arte, cercare la luce del mattino, aprire le finestre e trovarsi faccia a faccia con l’imponente muro del quale non si vede la fine, né a destra né a sinistra.
Il muro è quasi completamente ricoperto da graffiti e pezzi d’arte, la maggior parte dei quali hanno un profondo significato e lanciano messaggi importanti per far conoscere la situazione di questo territorio. Alcuni come ‘make hummus not walls’ strappano un sorriso. Altri sono proprio di Banksy, come il pezzo apparso la mattina della rappresentazione alternativa della natività (di cui si parla nel documentario “The Alternativity”): due angeli che provano a forzare il muro per allargare un piccolo varco presente. Costeggiandolo, con il naso all’insù, si ha sempre la sensazione – ma forse non è solo una sensazione – di essere osservati e anche controllati. Il muro è una presenza costante sullo sfondo di Betlemme invasa da turisti che vengono a visitare il luogo dov’è nato Gesù.
Decidiamo di cenare in hotel e occupiamo il tavolo sotto l’opera di San Valentino (ci chiedono molto educatamente di stare attenti e non appoggiarci); ci servono con una porzione generosa di insalata con tanto di arachidi, olive e hummus fatto in casa. In sottofondo musica araba dal vivo. Come sempre tutto molto suggestivo ma ci sentiamo sempre più rilassati e a nostro agio.
La percezione del tempo trascorso al Walled Off Hotel è amplificata. Un giorno e una notte sembrano molto più lunghi. Pian piano si entra in confidenza con il clima, si colgono gli stimoli e si iniziano a decifrare meglio tutti i messaggi e le provocazioni in cui ci si imbatte. È impegnativo e bello allo stesso tempo. Non c’è mai stato un momento, né dentro né fuori dall’albergo, in cui ci siamo sentiti in situazioni non sicure.
La mattina seguente, dopo una ricca colazione, prima di ripartire per Gerusalemme, ancora una visita al museo che racconta la questione palestinese, allo spazio al primo piano dedicato agli artisti palestinesi emergenti e un giro allo shop. Dopo qualche ricerca troviamo un taxi disponibile a portarci al check point, non tutti infatti possono entrare in Israele. Ci aspettavamo controlli, lunghe attese, in realtà si è risolto tutto velocemente, con l’auto che si è fermata qualche secondo di fronte a militari armati (alle armi non ci abitua!) che hanno capito che eravamo turisti di “passaggio”.
Ci portiamo a casa qualche idea più chiara, tanti interrogativi, un quadro e un poster comprati allo shop. Di sicuro, grazie a questa esperienza, ne sappiamo un po’ di più e abbiamo desiderio di continuare ad informarci. Parleremo ancora per giorni di questo viaggio, consigliando a chiunque ce lo chieda di andare a scoprire un territorio che ha voglia e bisogno di far sentire la sua voce. Sicuramente il Walled Off Hotel e i graffiti realizzati in diversi punti di Betlemme sono un mezzo alternativo per attirare l’attenzione su problemi profondi e Banksy è riuscito a far parlare di temi importanti attraverso la sua arte che in un modo o nell’altro arriva a tutti.
Articolo pubblicato su The Trip Magazine