Nel caffè della gioventù perduta
Immagina Parigi cinquant’anni fa, ma immaginala opaca, ipnotica, un po’ fuori fuoco.
Lì si muovono pochi personaggi alla ricerca di un punto fermo – lo è solo in minima parte il caffè evocato nel titolo. Come burattini legati a un filo troppo sottile, instaurano legami fragili per sfuggire all’impersonalità, all’assenza, all’oblio.
Tutti gravitano intorno a Louki, ragazza enigmatica, intrappolata in una vita che non sente sua, in fuga dal passato, dal presente, dai luoghi in cui vive, dal marito che non ama:
“non ero me stessa se non nel momento in cui fuggivo” rivela nel capitolo in cui narra in prima persona.
Roland (ultimo dei quattro narratori interni al testo) la salva dal matrimonio insignificante, ma non dal rebus della sua esistenza.
Eppure, “quando si ama qualcuno, bisogna accettare la sua parte di mistero… ed è per questo che lo si ama”.
Il romanzo, ricco di simboli e richiami più o meno nascosti, costeggia i confini del noir; è scritto in sottraendo, la parola è libera dal peso superfluo; nella sua concisione, scorre teso e asciutto, nessun dettaglio è sprecato.
I personaggi principali sono struggenti, magnetici; fatichi a staccartene, vorresti chiacchierare con loro davanti a un caffè… e non è detto che leggendo e rileggendo prima o poi non succeda.