
Panni sporchi per Martinengo
E va bene, dopo Chandler, Ellroy, Lansdale, Izzo etc sei giustamente convinto che alla tua cultura noir ci sia poco da aggiungere.
E invece qui ti tocca scoprire l’insospettabile potenziale delle Langhe: mentre ti muovi sulle linee ondulate dei bricchi, tra il profumo del Ruché e del tartufo, rassicurato dal calore del dialetto e dai secolari costumi piemontesi (parsimonia, discrezione, laboriosità…), ecco che spuntano crimini, sopraffazioni, traffici loschi. E spuntano dove non te l’aspetti, cioè in famiglia, nella fattispecie quella del detective Giorgio Martinengo – tutta gente benestante, di buone maniere ma con tanta polvere sotto al tappeto: c’è lo zio svalvolato e segregato in una casa di cura; un altro zio losco e maneggione; un altro ancora succube della moglie bellissima, intraprendente e troppo più giovane di lui.
Il lavoro porterà quindi Giorgio a districarsi tra vicende torbide e sgradevoli verità.
La scrittura procede con tocco garbato, agile, misurato (siamo in Piemonte neh), preciso nel nominare, riscaldato dall’identificazione con la terra.
Il risultato è un noir al sugo d’arrosto, serrato, avvincente, sostenuto da una raffinata e penetrante capacità introspettiva.
“E senza convenevoli iniziarono a scambiarsi pacchi e pacchetti, in una gara di modestia dove si cercava di sminuire il valore delle cose regalate, difendendosi dalle spese sostenute, in quel tipico pudore che voleva cercare giustificazione all’inconscia vergogna di un capriccio soddisfatto, tutto nel nome di una parsimonia che ci si sforzava di tramandare ancora in un mondo caro e dispendioso”.