Bali

Appunti di viaggio

Ritorno sull’isola dieci anni dopo

 

Senza aspettative prepariamo lo zaino, molto più leggero rispetto a dieci anni fa, e ci imbarchiamo per un lungo volo che prevede uno scalo a Dubai e una prima tappa di cinque giorni a Singapore (da visitare: oriente e occidente che si incontrano, e lo fanno anche bene).
Appena scendiamo dalla scaletta dell’aereo, veniamo accolti da una ventata afosa: il ricordo del caldo asiatico appiccicoso di agosto ci torna subito in mente; questo non è cambiato.
È pomeriggio, in pieno jet lag cerchiamo in tutti in modi di stare svegli ma per fortuna ci riprendiamo in fretta.
Girovaghiamo per un bel po’ nei quartieri di Singapore, passiamo ore all’orto botanico, gustiamo la cucina indiana in un locale molto autentico (il dosa più buono mai assaggiato), proviamo diversi piatti nelle bancarelle e ci perdiamo nei negozietti di medicina tradizionale cinese.

 

È arrivato il momento di rimetterci lo zaino in spalla e imbarcarci per Bali, la nostra destinazione finale.
Siamo curiosi e ci chiediamo come sarà cambiata, se il turismo avrà preso d’assalto l’isola, quali sensazioni ci accoglieranno.
Qualche problema all’aereo e il volo atterra con quasi tre ore di ritardo: sono le 23.
Agli arrivi si fa la passerella tra i tassisti che sventolano cartelli con i nomi dei passeggeri.
Si parte: direzione Ubud. Strade strette e buie, tanto traffico, ore per percorrere qualche chilometro: anche questo non è cambiato.

 

Come sempre accade quando siamo in viaggio, prenotiamo solo le prime notti e poi ci lasciamo trasportare dalle sensazioni e in qualche caso dagli eventi; giorno per giorno pianifichiamo l’itinerario, cambiando mille volte idea e stravolgendo i programmi.
Arriviamo nei pressi della struttura che abbiamo scelto per i primi tre giorni, nel cuore della giungla, e non c’è nessuno ad aspettarci: siamo arrivati tardi (scopriremo poi che chi ci doveva venire a prendere si era addormentato). La struttura si può raggiungere tramite una stradina di circa quattro chilometri, senza la minima illuminazione, percorribile solo a piedi oppure in motorino.
Nel perfetto spirito di accoglienza balinese, la gente del posto si offre di darci un passaggio. Questa è una delle cose che più ci era rimasta impressa: la disponibilità incondizionata. C’è sempre qualcuno nel posto giusto e al momento giusto pronto a dare una mano e lo fa con gentilezza.
Ecco il caldo bentornati a Bali che riceviamo a poche ore dal nostro arrivo.

 

Dopo aver preso confidenza con la nostra capanna e anche con qualche ospite non troppo gradito (ma si sa, è la giungla), partiamo alla scoperta di posti sconosciuti e torniamo in altri che avevamo già visitato. Sembra tutto nuovo e allo stesso tempo famigliare. Con il motorino percorriamo tanti – ma davvero tanti – chilometri alla volta di qualche tempio sconosciuto. Alcuni mantengono una spiritualità che si percepisce immediatamente e regala un senso di tranquillità e pace, altri invece sono completamente assaliti da turisti di ogni genere. Code che ci sembrano infinite, ma forse lo sono, e che subito non riusciamo a capire: è l’attesa per uno scatto social. Passiamo oltre.
Ci perdiamo un numero infinito di volte, imbocchiamo percorsi secondari e ci troviamo circondati da bambù. Ammiriamo il panorama da cartolina delle risaie. Le strade ci sembrano non finire mai, in un sali scendi continuo, e il numero di motorini e di auto sulle carreggiate ci confonde. Siamo in tanti!
A Bali, e in generale in Asia, gli spostamenti sono sempre eterni, è impossibile pianificare più di tanto, occorre pazienza e prendersi del tempo per viversi al meglio anche il tragitto e non temere di perdersi: c’è sempre qualcosa di piacevolmente inaspettato che ripaga e dona una punta di magia al tutto.

 

Ci sono voluti un po’ di giorni per ritrovare il misticismo che ci era rimasto nel cuore, che ci aveva colpito nel 2012 e che ci fa pensare a Bali come ad una delle mete più belle.
Appena ci allontaniamo dai posti più gettonati, torniamo a sentire una connessione speciale che ci fa capire il motivo per cui tanti occidentali si stabiliscono sull’isola. Si percepisce il contatto con la natura e spesso si ha la sensazione di sentirsi a casa.
Bali è il posto giusto per ritrovare le coordinate perse o, semplicemente, per stare bene.

 

Le sistemazioni migliori rimangono le strutture gestite dai balinesi. Passare del tempo in una casa tradizionale balinese è il modo migliore per entrare in contatto, immergersi nella cultura e conoscere lo stile di vita. Quasi tutte hanno il proprio tempio e accanto alle statue (spesso c’è Barong, il dio degli spiriti buoni) o all’ingresso c’è sempre un cestino quadrato, fatto a mano con le foglie di palma, sul quale vengono appoggiati fiori freschi profumati, del cibo e dell’incenso: sono le offerte agli spiriti buoni e a quelli cattivi.
Solitamente i proprietari, oltre ad offrire consigli di ogni tipo – dal cibo agli spostamenti – preparano colazioni abbondanti e si intrattengono volentieri in chiacchiere.
I piatti tipici balinesi sono pochi ma sempre buoni. Fare tappa in un warung – locale di solito a conduzione famigliare – è un’esperienza consigliatissima. Come è da provare il massaggio balinese per armonizzare corpo e mente; la riflessologia plantare è un pochino dolorosa ma dopo ci si sente davvero bene. Anche una lezione di yoga è un’esperienza che resta nel cuore.

 

Lasciamo Bali per qualche giorno e voliamo a Nusa Tenggara, un paradiso dove nuotare con pesci colorati e tartarughe.

 

Prima del rientro in Italia ancora qualche giorno a Bali, sappiamo che ci mancherà.
L’isola è sempre accogliente, la gente è colorata, calorosa e ospitale e si respira misticismo, soprattutto in alcune zone.

 

Chissà come sarà la terza volta…magari per un tempo più lungo, con uno zaino ancora più leggero.

 

 

 

Ibiza, l’isola energetica dai mille e più mood

Se avete voglia di ballare tutta la notte, di rilassarvi fronte mare leggendo un libro, se avete bisogno di una dose consistente di energie, se desiderate cene divertenti e tanti brindisi con amici, se sognate ad occhi aperti di tuffarvi in acque cristalline, se non vedete l’ora di farvi scaldare dai raggi del sole sdraiati su una spiaggia bianca, se mente e corpo vi chiedono una pausa in solitaria nella natura oppure se sentite il bisogno di essere liberamente voi stessi…Non dovete rinunciare a qualcosa e cambiare tante destinazioni perché c’è un unico posto che può assecondare e coccolare tutti questi stati d’animo e anche di più: questo posto è Ibiza.

 

 

Ibiza: l’isola della trasgressione e del divertimento ma anche uno dei posti più energetici del mondo dove ritrovare se stessi e ricaricarsi.
L’isola dai due volti (almeno due), quello più conosciuto e forse anche quello più criticato che richiama le masse turistiche e un altro più nascosto, da scoprire lasciandosi guidare dal cuore.

Consiglio: meglio andare in momenti meno gettonati ma non troppo fuori stagione altrimenti si rischia di vedere una versione troppo tranquilla dell’isola. Il nostro periodo preferito è metà giugno ma può essere interessante anche settembre oppure ottobre.

 

Vogliamo raccontarvi Ibiza, la nostra, per un solo mood ma bello ampio, che ne abbraccia tanti altri:

open your mind.

 

 

Iniziamo con Es Vedrà. Una puntatina ad ammirare questa piccola isola disabitata, molto energetica, a sud ovest di Ibiza, è d’obbligo. Sedetevi di fronte, guardatela intensamente – ma non guardate in giù se soffrite di vertigini – chiudete per un attimo gli occhi ed esprimete un desiderio. Lasciatevi avvolgere dall’energia del posto e il gioco è fatto. Da lì si ammira anche un tramonto indimenticabile ma difficilmente in solitaria, meglio recarsi in altri momenti per provare a stare con se stessi.
Il tramonto è un altro momento unico ad Ibiza, potete scegliere dove aspettare che il sole piano piano si nasconda per essere abbracciati dall’arancione-rosso del cielo.

 

Seconda tappa molto, molto mistica: Atlantis, dove rocce striate color sabbia hanno forme singolari; sicuramente ognuno vedrà cose diverse. Gli hippies lo consideravano un luogo sacro e non è difficile immaginare il motivo. Bisogna imboccare un sentiero non facile da trovare e scendere lungo la collina; il percorso è parecchio impegnativo ma ne vale la pena. Arrivati a destinazione, ricaricatevi sdraiati sulle rocce, rinfrescatevi nelle piscine naturali, ammirate il paesaggio, rilassatevi, respirate e…preparatevi per la salita.

 

 

 

Sabbia e acqua salata sono un’altra risorsa per aprire la mente e per regalare benefici al corpo. Il mare prende delle sfumature che tendono al rosa. Ci sono calette più frequentate, altre più solitarie, ma ovunque sarà impossibile resistere al richiamo delle acque cristalline e alla loro energia travolgente.

 

 

Per spostarvi da una caletta all’altra perdetevi nell’entroterra, respirate il profumo degli ulivi e quello inconfondibile dei fichi. Fate una sosta nei paesini e non ve ne pentirete.

 

Se vi sentite particolarmente in forma salite nella parte vecchia di Eivissa per cercare un po’ di pace e di tranquillità tra i local. Bouganville di un fucsia acceso colorano e ricoprono i muri bianchi delle case. Le stradine di pietra formano un labirinto che metterà alla prova il vostro senso dell’orientamento. Parola d’ordine: vagabondare.

 

 

Per stare meglio e ampliare i vostri orizzonti concedetevi qualche peccato di gola. Per gli amanti dei dolci: assaggiate il flao, la famosa torta ibizenca a base di formaggio fresco e delicato e menta.
Se preferite gusti un pochino più forti, che potrebbero mettere a rischio la vostra vita sociale, l’ideale è un aperitivo con l’alioli, la salsa a base d’aglio che potete anche accompagnare a indimenticabili piatti di pesce, magari gustati in qualche chiringuito proprio sul mare, con un buon calice di Perro Verde o se preferite qualcosa di più vicino a noi una copa de Cava ghiacciata. Per concludere con un po’ di brio, un chupito di hierbas, l’amaro tipico di Ibiza.

 

Qualunque cosa decidiate di fare, sentitevi liberi di essere voi stessi, di esprimervi come meglio credete, di osare e di divertirvi. Siete nel posto giusto.

 

 

Avremmo potuto aggiungere anche altri mood, come “sotto l’ombrellone”, ma non volevamo darvi dritte che potete tranquillamente trovare in qualsiasi guida. Abbiamo anche scelto di tralasciare un altro mood, più facile e forse anche più scontato: “party”. Su questo vi potete sbizzarrire senza troppi consigli. Ci sono club per tutti i gusti e per tutti i generi musicali. Se siete indecisi, non preoccupatevi, ogni serata è dedicata ad un evento diverso con una programmazione settimanale. Anche se non siete amanti delle discoteche, una serata a Ibiza è consigliata: sarà di sicuro un’esperienza unica, magari da non ripetere, ma da provare.

 

Se non l’avete ancora fatto, non vi resta che mettere un piedino su quest’isola magica; se ci siete già stati e leggendo queste righe vi è venuta voglia, ritornateci.

 

C’è solo una controindicazione: se Ibiza vi resta nel cuore…non ne potrete più farne a meno 🙂 

 

 

24h al Walled Off Hotel

 

Il Walled Off Hotel è da inserire nella lista delle cose da fare. Se le mosse geniali e non convenzionali di Banksy vi hanno stupito, se siete curiosi di vedere con i vostri occhi le sue opere d’arte in un ambiente unico nel suo genere, l’hotel “con la peggior vista al mondo” fa al caso vostro: trascorrere lì almeno 24 ore è davvero un’esperienza unica e insolita.
Da grandi appassionati di streetart e da sempre interessati a Banksy, appena abbiamo avuto l’occasione, dopo circa due anni dall’apertura, abbiamo prenotato per una notte la suite presidenziale. E l’occasione per noi si è presentata a febbraio 2019 con l’inaugurazione della mostra a Tel Aviv di un caro amico artista, Adam Yakutiel in arte Know Hope, che ci ha dato un passaggio fino a Betlemme.
Partiamo in tarda mattinata, il tragitto è molto tranquillo con un panorama calmo e rilassante, quasi inaspettato pensando al trascorso di queste terre e a quello che ancora vivono. Siamo impazienti e curiosi di mettere un piede al Walled Off Hotel. Avevamo letto svariati articoli, visto foto e documentari, come “The Alternativity” e “The man who stole Banksy” – consigliatissimi se non li avete ancora visti – sapevamo che cosa ci aspettava ma non potevamo immaginare le sensazioni ed emozioni che sarebbero tornate a casa con noi. Dopo un’ora – e senza particolari controlli – arriviamo a destinazione: da una parte l’ingresso dell’hotel e dall’altra, a pochi passi, un muro alto più di otto metri.

 

 

Una barriera altissima, di fronte alla quale ti senti piccolo, impotente, chiuso. Come previsto, all’ingresso ci accolgono un portiere di un’eleganza impeccabile con tanto di cilindro e la “scimmia – fattorino” alle prese con i bagagli. Finalmente stiamo per varcare la soglia del famoso hotel dell’artista dall’identità sconosciuta (o nota a pochissimi): che emozione!

 

Appena entrati veniamo catapultati in un’atmosfera britannica dei primi anni del novecento, con una luce soffusa, arredamento di altri tempi, divani in pelle bordeaux e marrone scuro, alti candelabri e tovaglie ricamate. Adam saluta il manager dell’albergo, Wisam Salsaa, per noi viso noto nei documentari, che ci dà il benvenuto e ci offre del the caldo in antiche tazzine di porcellana. Bisogna concedersi un po’ di tempo per abituarsi a questo ambiente famoso ma allo stesso tempo intenso e sconosciuto. Ci guardiamo attorno e riconosciamo tutte le opere, dal quadro di Gesù con un mirino sulla fronte, al gatto attaccato alla gabbia di una colomba (della pace), al pianoforte che suona senza musicista, agli angeli appesi, al finto camino, al busto avvolto dai fumogeni. L’ultima opera è stata realizzata per San Valentino: una parte di muro appesa alla parete della hall con un buco a forma di cuore e accanto una bambina con velo che gioca. Più osserviamo e ci soffermiamo su una zona, più scopriamo nuovi dettagli. Siamo piacevolmente confusi e anche un po’ smarriti, non sappiamo più da che parte guardare!

 

 

Ci registriamo alla reception e ci chiedo un deposito di 1.000 dollari per eventuali danni alle opere d’arte che si trovano nella suite. Importante: portate con voi la carta di credito con disponibilità! In effetti non c’è da stupirsi della richiesta, basta pensare che la tela di Banksy, “Devolved Parliament”, è stata battuta all’asta da Sotheby’s a 12,1 milioni di dollari. Ci danno anche un elenco con le foto delle opere per controllare il loro stato al momento del nostro arrivo.
È ora di salire nella suite e di attraversare il passaggio segreto per raggiungere le camere. Anche noi possiamo finalmente “aprire” la libreria e salire ai piani superiori. La suite è un vero e proprio set cinematografico. Partiamo subito con il check delle opere: il divano zebrato dà le spalle ai famosi giaguari dipinti sul muro e il letto è nascosto da pesanti tende di velluto rosso che si aprono e si chiudono come un sipario. Sul lato opposto della stanza c’è una grande vasca da bagno circolare, rivestita da finte rocce, con piante appese al soffitto e un vero serbatoio con fori di proiettile dai quali esce l’acqua. C’è anche l’angolo con il tiki bar (con zuccheriera a forma di ananas), due bagni molto grandi, un’altra camera da letto e un angolo-studio con libreria e scrivania tutto in legno scuro.

 

 

Non manca la vista. Fa un certo effetto svegliarsi in una stanza che potrebbe essere un parco giochi dell’arte, cercare la luce del mattino, aprire le finestre e trovarsi faccia a faccia con l’imponente muro del quale non si vede la fine, né a destra né a sinistra.

 

 

Il muro è quasi completamente ricoperto da graffiti e pezzi d’arte, la maggior parte dei quali hanno un profondo significato e lanciano messaggi importanti per far conoscere la situazione di questo territorio. Alcuni come ‘make hummus not walls’ strappano un sorriso. Altri sono proprio di Banksy, come il pezzo apparso la mattina della rappresentazione alternativa della natività (di cui si parla nel documentario “The Alternativity”): due angeli che provano a forzare il muro per allargare un piccolo varco presente. Costeggiandolo, con il naso all’insù, si ha sempre la sensazione – ma forse non è solo una sensazione – di essere osservati e anche controllati. Il muro è una presenza costante sullo sfondo di Betlemme invasa da turisti che vengono a visitare il luogo dov’è nato Gesù.

Decidiamo di cenare in hotel e occupiamo il tavolo sotto l’opera di San Valentino (ci chiedono molto educatamente di stare attenti e non appoggiarci); ci servono con una porzione generosa di insalata con tanto di arachidi, olive e hummus fatto in casa. In sottofondo musica araba dal vivo. Come sempre tutto molto suggestivo ma ci sentiamo sempre più rilassati e a nostro agio.

 

La percezione del tempo trascorso al Walled Off Hotel è amplificata. Un giorno e una notte sembrano molto più lunghi. Pian piano si entra in confidenza con il clima, si colgono gli stimoli e si iniziano a decifrare meglio tutti i messaggi e le provocazioni in cui ci si imbatte. È impegnativo e bello allo stesso tempo. Non c’è mai stato un momento, né dentro né fuori dall’albergo, in cui ci siamo sentiti in situazioni non sicure.

La mattina seguente, dopo una ricca colazione, prima di ripartire per Gerusalemme, ancora una visita al museo che racconta la questione palestinese, allo spazio al primo piano dedicato agli artisti palestinesi emergenti e un giro allo shop. Dopo qualche ricerca troviamo un taxi disponibile a portarci al check point, non tutti infatti possono entrare in Israele. Ci aspettavamo controlli, lunghe attese, in realtà si è risolto tutto velocemente, con l’auto che si è fermata qualche secondo di fronte a militari armati (alle armi non ci abitua!) che hanno capito che eravamo turisti di “passaggio”.

Ci portiamo a casa qualche idea più chiara, tanti interrogativi, un quadro e un poster comprati allo shop. Di sicuro, grazie a questa esperienza, ne sappiamo un po’ di più e abbiamo desiderio di continuare ad informarci. Parleremo ancora per giorni di questo viaggio, consigliando a chiunque ce lo chieda di andare a scoprire un territorio che ha voglia e bisogno di far sentire la sua voce. Sicuramente il Walled Off Hotel e i graffiti realizzati in diversi punti di Betlemme sono un mezzo alternativo per attirare l’attenzione su problemi profondi e Banksy è riuscito a far parlare di temi importanti attraverso la sua arte che in un modo o nell’altro arriva a tutti.

 

Articolo pubblicato su The Trip Magazine